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"Una parte del tempo ci è strappata. Un'altra ci è sottratta. E l'ultima ci sfugge."






cronografo meccanico a carica manuale


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e fasi lunari
[1926]







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Thuret à Paris
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[1690]



Storia dell'orologeria: verso l'orologio meccanico


Verso gli orologi meccanici...


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Alla fine dell’anno 1000, in Cina il Mandarino Su Sung progettò e costruì una grande torre astronomica segnatempo. Realizzata il legno e alta oltre 9 metri, indicava la posizione delle stelle, del sole e – innovazione importante – batteva le ore e le frazioni d’ora con congegni meccanici!

Da questo momento in poi e potremo dire di invenzione in invenzione, perfezionando e migliorando, si giunge alla metà del 1200.
In questo periodo, pare proprio che i monaci avessero risolto i problemi, legati al passare del tempo. Il loro tipo di vita, governato da ritmi e tempi precisi, era quello che maggiormente necessitava di regolazione o “temperazione”, come si usava dire allora. Nelle loro giornate si susseguivano infatti i tempi dei riti, tempi di preghiere, tempi di lavoro, tempi del sonno, ecc...
Serviva qualcosa che scandisse la durata di queste azioni e “l’orologio” cominciò a prendere forma. Si ha infatti notizia della costruzione di un primo “svegliatoio monastico ad acqua”.

Nella sua descrizione si parla di un quadrante graduato, di ruote dentate per i suoni (emessi da piccole campane a ciò sollecitate da martelletti che le percuotevano), di una catena con peso collegato e di un galleggiante posto in un recipiente contenente acqua di cui si variava il livello (tipo l’orologio di Ctesibio...).
Da questo “archetipo” si sviluppò in seguito un altro svegliatoio più semplice e più perfezionato: quello ad azionamento totalmente meccanico.
Non più la forza dell’acqua, bensì la costante forza di gravità, che si esercitava tramite opportuno peso, legato a una corda avvolta su un tamburo rotante, iniziò ad azionare questi svegliatoi. Il tamburo ruotando, sollecitato a ciò dalla corda che si svolgeva, muoveva le ruote ad ingranaggi a lui collegate.

Svegliarino monastico meccanico
Svegliarino monastico meccanico


Fu necessario però inserire “qualcosa” che impedisse l’immediato srotolamento e la conseguente velocissima rotazione incontrollata del tamburo e degli ingranaggi, che avrebbe segnato non più il tempo, ma solo la fine prematura dello strumento! Nacque così il primo tipo di “Scappamento”.

Una barra a bilancere con dei pesi agganciati, regolabili dal centro alla periferia della stessa (per rendere l’idea pensiamo al peso della stadera), in seguito detta foliot, rendeva lenta e costante la rotazione del tamburo e degli ingranaggi del “treno del tempo”.
Sull’asse verticale del bilancere vi erano delle palette che arrestavano e liberavano (lasciavano “scappare”) ciclicamente i denti della ruota (conformata a denti di sega e detta caterina) calettata sull’asse su cui agivano i detti ingranaggi.

Agli svegliarini monastici, per il loro utilizzo forzatamente semplici, costituiti nella maggioranza da tre ruote, due pignoni, una campanella, oltre al sistema di scappamento e che – si dice – sbagliassero almeno di un’ora al giorno, fecero seguito i grandi orologi meccanici da torre e da campanile, dotati anche di notevoli complicazioni astronomiche e di automi, meraviglia della meccanica di allora e che ancora oggi lasciano esterrefatto il pur evoluto visitatore.
Comincia quindi l’affascinante storia dell’orologeria meccanica.

Orologio da torre di Venezia
L'orologio da torre di San Marco a Venezia


Quali sono le premesse affinche' tutto ciò avvenga? Facciamo mente locale tornando indietro nei secoli.
Se pur molto lentamente (per noi oggi), il mondo di allora si evolve. In Europa l’era del mondo romanico si conclude per lasciar posto al periodo medievale, basato all’inizio, per la quasi totalità, sulla difesa e sull’agricoltura di sopravvivenza e permeato di religiosità in ogni sua manifestazione. Il tempo era regolato dal trascorrere delle ore canoniche, riconosciute dalla Chiesa e che regolavano gran parte della vita delle comunità monastiche.

Successivamente le città diventano centri importanti di accentramento, di commercio, di cultura e conoscenza. Artigiani e mercanti si dividono le proprietà fondiarie cittadine, mutando anche l’organizzazione civica e gli edifici stessi. Parte delle ricchezze conseguite con le proprie attività dalla borghesia, che aveva una propria cultura (erano arrivate le Università!) e un definito senso dei valori economici, furono usate per realizzare opere che potessero dimostrare il prestigio di chi le costruiva, oltre che per meglio salvaguardare il patrimonio stesso. Ecco quindi che tutto ciò che prima si poteva definire appannaggio quasi esclusivo delle religioni, chiese e monasteri, in città divenga ora appannaggio principale delle stesse famiglie borghesi, anche in antitesi con la Chiesa (potremo definirlo l’archetipo di concorrenza….).

Se prima gli orologi battevano le ore in pratica solo per i monaci, ora devono servire a segnare le ore per tutti, quindi non più solo le ore canoniche, ma il tempo con tutte le ore utili.
Con la grande ripresa della produzione artigianale e dei commerci, si afferma quindi la necessità di una misura del tempo oggettiva e immutabile, valida in ogni stagione ed indipendente dalle esigenze ecclesiastiche. Un tempo cioè, precisamente calcolabile, organizzabile, comperabile e vendibile. Tali ore devono essere visibili da lontano e deve essere udibile il loro rintocco nelle case, nelle piazze e nei campi, per scandire i ritmi delle varie attività.
Ecco quindi che ai primi orologi che suonavano soltanto, si succedono quelli che mostrano prima un quadrante unico e successivamente quattro, per essere leggibili da ogni lato.
Ma non era ancora sufficiente. Artigiani, mercanti, insegnanti, pittori, artisti e musici, guerrieri, nobili e viandanti e tutti coloro che in genere potevano permetterselo, viaggiano e si spostano sempre più frequentemente. Vengono così diffuse: storia, avvenimenti e ogni tipo di conoscenza, oltre naturalmente alle merci, inizialmente barattate e in seguito commerciate.

Nasce così la necessità di conoscere in modo autonomo il trascorrere del tempo. Per questi motivi, nel successivo periodo rinascimentale, non basterà più solo l’orologio da campanile o da torre, "rimpicciolitosi" nel frattempo, dando origine all' orologio da muro o da tavolo, ma servirà anche un orologio personale. Un orologio da portare con sé durante i viaggi, dapprima appeso all’interno della carrozza, poi da tenere sulla persona, legato al collo con una catenella o contenuto in una sacca, da appendere alla cintura.

L’evoluzione però continua inarrestabile e a questi primi pesanti, imprecisi e potremo dire ora, scomodi e ingombranti orologi “portatili”, si migliorano i congegni meccanici, se ne riducono dimensioni e pesi, tanto che gli stessi, non più grandi del palmo di una mano, possono essere contenuti in un taschino. Con ulteriori sforzi di miniaturizzazione e continuo perfezionamento, senza però mai stravolgere la basilare “organizzazione meccanica”, si giunge infine all’ orologio da portare al polso.

Così anche l’uomo giunge “in orario” ai nostri giorni...e l’evoluzione dell’affascinante orologio meccanico continua ancora….



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